Come Callisto, la donna degli Orsi


Di seguito vi proponiamo il testo dello spettacolo "Come Callisto, la donna degli Orsi" rilasciato sotto licenza Creative Commons. Vi invitiamo a leggere le condizioni di utilizzo alla fine del post dove troverete anche il link per il download.

Lo spettacolo si propone di descrivere la figura di Anne Marie de La Trèmoille (1642-1722), principessa degli Orsini, raccontata attraverso la voce dei vari personaggi che popolarono il castello di Nerola nel XVII secolo, fino ad arrivare ad ascoltare alcune vicende della sua vita dalla stessa principessa di origine francese.

Il testo è suddiviso a tappe e il pubblico incontrerà uomini e donne che, immersi nelle loro quotidiane faccende, narreranno episodi della vita di questa donna affascinante e potente, soffermandosi su aneddoti ed episodi degli anni del suo soggiorno romano.

La nuova moglie di Flavio Orsini, principe di Nerola e duca di Bracciano, rivelerà il suo aspetto e le sue attitudini svelando anche l’origine dello pseudonimo che era solita usare nel suo famosissimo e ambitissimo salotto: Caliste, come Callisto la ninfa consacrata ad Artemide che, secondo il mito, fu trasformata in un orso.

Come Callisto, la donna degli Orsi
di Elisa Scipioni

Le guardie sul ponte o sulle torri. Battista non ci vede tanto bene

GEROLAMO: Chi va là?

BATTISTA: (accorgendosi in ritardo) Chi va là?

GEROLAMO: Fermatevi messeri e fatevi riconoscere!

BATTISTA: Sì, per Diana, fermatevi e fatevi riconoscere, vi dico, siamo armati!

GEROLAMO: Chi è tutta questa gente? Li vedi pure te, Battista? Non avrò mica le traveggole!

BATTISTA: (vede avvicinarsi una moltitudine di gente) Ma quanti sono?! Che sia un esercito nemico… (strilla) All’armi!!

GEROLAMO: Zitto, per l’amor del cielo, mi sa che sei tu ad aver le traveggole! Ma quale esercito si muoverebbe senza nemmeno un cavallo, senza armature e senza armi!

BATTISTA: Hai ragione, ma che razza di uomini sono? Oh perdonate, ci sono anche delle donzelle… con le brache e senza sottane! (punta la lancia contro il pubblico) Che stregoneria è mai questa! Làmmie incantatrici, streghe tentatrici, state indietro, i vostri malefici non avranno potere su di me!

GEROLAMO: Battista, ma che vai farneticando, testa di tufo! Che il diavolo ti porti! Se farai ancora altro romore penseranno che il castello sia stato assaltato in per davvero!
(Al pubblico) Scusatelo buona gente, - perché siete brava gente, vero? - (con astio verso il compagno) è tocco nel cervello!

BATTISTA: Vorrei vedere te con la nebbia negli occhi!

GEROLAMO: Sempre queste lamentazioni! E basta! (rivolgendosi al pubblico) Ma voi chi siete? Forestieri o viandanti?

BATTISTA: Gerolamo, ho capito, ho capito! Sono amici della principessa! (All’amico) Saranno franzosi, ecco perché son così curiosamente abbigliati!

GEROLAMO: Aaaaaaaaah, ospiti della principessa e del duca suo marito!

(si mettono sull’attenti o qualcosa del genere)
BATTISTA: Eccellenze vostre, che voi siate mendicanti o franzosi, poracci o nobiluomini, io vi parlerò: affinché possiate essere ammessi al cospetto del Signor Duca Flavio Orsini, Duca di Bracciano e San Gemini e principe di Nerola e di sua moglie Madame la Duchessa, alcuni precetti bisogna che siano ottemperati!

GEROLAMO: In primis, sarete condotti nel castello verso gli appartamenti privati di Lor Signorie; secondamente, un inchino in ciascuna camera, nel più debitissimo silenzio, si dovrà effettuare…

BATTISTA: (a parte) Psè, manco fossimo in presenza del papa re… !

GEROLAMO: (più forte per sovrastare l’amico) … e per terzibus, e qui si risica la morte, è proibizione assolutissima sputare in terra, negli angoli, nei vasi e massimamente… in tra le mani.

BATTISTA: Gabbia de' matti è il mondo, disse un vecchio pazzo!

GEROLAMO: Ancora lamentazioni! Il tuo sputo può continuare a insozzare placidamente il suolo che calpesti, caro mio: tanto tu, la principessa, la sentirai solo nominare, non ti prender pena!

BATTISTA: E chi si piglia pena! Caro il mio Gerolamo, guardare e non toccare è cosa da crepare! E, dunque, tu crepa pure a forza di rimirarti la principessa, da vicino o da lontano, io ho ben altro da fare! (ammiccando).

GEROLAMO: (sarcastico) Ah sì sì lo sanno tutti… “Una vecchia ti vagheggia…

(Fanno per andarsene)

BATTISTA: Taci!

GEROLAMO: “… vizza e secca insino all'osso e c’ha logra la gingiva.”

BATTISTA: Ancora con questa storia!

GEROLAMO: Ella sa propio di cuoio,
quand'è in concia, o di can morto,
o di nidio d'avoltoio:
sol col puzzo ingrassa l'orto!” (ride di gusto)

BATTISTA: Non è vecchia e non è secca!

GEROLAMO: Ma come fai a dirlo: hai la nebbia negli occhi!

(escono)
  
La serva al cortile
Canta una canzone popolare

SERVA: Oh Domineddio, non vi avevo veduti! Che spavento! Pensavo fosse qualcuno venuto a sgridarmi perché cantavo troppo forte. Che, poi, mica li capisco questi signoroni: stanno sempre a conversare di musica, a strimpellare e a battere il tempo, ma se odono un uccellino cinguettare  storcono la bocca e sbattono le finestre, manco avessero sentito aprirsi tutte insieme le bocche dell’inferno.  Avranno senz’altro l’orecchio più fino di noialtri. Anche se mi pare abbiano l’orecchio da mercante quando quei poveri diavoli lì sotto (indica le prigioni), supplicano e pregano fino a che non schiattano come cani!
Eh, ma io non posso mica stare zitta e muta a sbucciare cataste e cataste di mele e di cipolle senza fare un fiato per ore! Poi, che rimanga tra noi, qui è un po’ di tempo che si cucina alla moda di quegli altri, avete capito, no? I compatrioti della principessa, ovvio.
Qualche volta si fanno certi banchetti che… ma che ve lo dico a fare! Ho perso il conto di quanti pollastri e gallinacci ho sgozzato, spennato e sbollentato! Certe bestiacce cucinate intere e poi rimontate sul tavolo con tutte le loro penne su certi vassoi da portata che ci vogliono due cristiani forti per sorreggerli!
E dovete vedere, invece, che piattini piccoli, piccoli, piccoli che usano, poi, per mangiare! Roba da ridere! E mica è finita qua: i padroni e i loro ospiti cantano e ballano pure quando si abbuffano… tutto il giorno è un’arte, chi gorgheggia, chi suona, chi saltella, ma una cosa è certa: non son gente che lavora.
(Da una finestra si intravedono due figure) Shhhhtt! Per carità, fate piano, guardate, guardate, eccoli lì, marito e moglie… e che moglie, e che vestiti, signori miei, certe stoffe, certi merletti che io in vita mia non avevo mai visto, nemmeno indosso alla prima moglie del duca!
Ah, perché non lo sapete? Questo è il secondo matrimonio per Don Flavio e, in verità, anche per la signora. Ma di certo lei è ancora giovane e bella. Sì, certo, lui fa molto per contentarla, ma, per lo più, si ignorano cortesemente a vicenda. Compatitelo, signori miei, è un uomo di buon cuore, ma ha le sue stravaganze. Se ne sta tutto il giorno rintanato nel suo studiolo tra mille scartafacci e innumerevoli ampolle!
É scienziato e poeta! Scrive, fa esperimenti, fa il filosofo, mentre lei… lei se ne sta per lo più a Roma, nel suo palazzo, nel suo salotto pieno di specchi, tra i suoi parenti, i suoi amici e i suoi belletti.
Eh, le mogli giovani dei mariti vecchi sogliono pensar per tempo a sceglier quello che, poi, deve loro asciugare le lacrime! Ma sicuramente non è questo il caso, ci mancherebbe!
È che a noi giovinette ci insegnano a mostrarci attente al lavoro, amiche del ritiro e nemiche della finestra, scrupolose, modeste e semplici, ma, questo discorso, non vale mica per tutte.
Certo! se fossi nata anch’io a Parigi varrei qualche cosa di più! Eppure, devo dirvelo, io mi pregio di essere di un paese ove regna il buon gusto quanto in qualunque altro.
Almeno, a casa mia, sulla tavola i volatili li portiamo senza piume!

Il Duca nel suo studio.
Ogni tanto, inframmezzato al discorso, canticchia un’aria da “Moro per amore”, un’opera scritta dal Flavio Orsini stesso e musicata da Alessandro Stradella.

IL DUCA: (si alza un po’ a fatica dalla poltrona)
“Forse per tormentarmi Amor non basta,
mentre tutto a’ miei danni
congiurato il destin sempre contrasta.”
Eh be’, son dei versi un po’ fiacchi, vi autorizzo a pensarlo, ma vedrete, anzi, sentirete quando saranno musicati che bell’effetto che faranno!(canticchia o fischietta un’aria)
Abbiamo trovato un gran bel modo di passare il tempo, io e mia moglie: insceneremo un’opera!  Non so certo quanto durerà l’idillio, tra me e lei, ma tant’è!
Eh, amici miei, ci ho provato, eccome se ci ho provato, ma vedete, io ho la mia età, i miei vezzi, la mia salute malferma e son stufo di correre dietro al re, al papa e agli ambasciatori. Che qualcun altro si rompa il collo per loro adesso, io me ne infischio! Con l’età avrò pur meritato il diritto di dedicarmi a ciò che più mi aggrada, e che diamine!
(Come se rispondesse a una domanda) Sì, sì, certo, questo, alla principessa non può star bene: lei è una donna di mondo, è ancora nel fiore degli anni, predilige i divertimenti e condurre l’esistenza anche lei a modo suo. Siamo troppo affezionati alle nostre indipendenze e alle nostre abitudini per venirci incontro come vorrebbe il senno!
Ma su una cosa ci capiamo: la musica! Ah, signori, quella lingua ci unisce, siamo grandi appassionati, entusiasti sostenitori, (si ringalluzzisce) nostri amici e protetti sono musicisti e cantanti e le uniche uscite felici e congiunte sono a teatro.
(canta di nuovo)
Ho dovuto faticare di molto per convincerla a venire al castello, nonostante l’abbia ammodernato e sistemato in suo onore. Figurarsi, fu delusa da Roma, perfino quando vide nella loro realtà esposti tutti ai suoi sguardi, quegli oggetti che già conosceva dai dipinti. Tutte le tracce di splendidezza per lei scomparvero di fronte alla moltitudine di pecore che pascolano in mezzo ai fori e alla puzza di cenci e cavolo marcio. Ma placidamente, l’ho rassicurata per questo, i romani di oggi vivono come i loro illustri antenati: tutti in mezzo alla merda.
Ma adesso vi svelo un piccolo segreto, c’è una cosa di questo posto che l’ha resa davvero felice... un segreto che si trova nel mio giardino, tra i fiorellini candidi degli alberi di arancio che coltivo in questa mia amata dimora.
Questo segreto io l’ho distillato e gliene ho fatto dono e adesso potete avvertirla, annusarla codesta essenza. È questo il segnale, avete subitanea consapevolezza che Anna Maria si avvicina, che sta per arrivare, perché, prima che lei si mostri, arrivano i fiori bianchi, i frutti amari e le foglie lucenti di un giardino di maggio.


La principessa, o duchessa che dir si voglia, nella cappella. Inginocchiata fronte pubblico sull’inginocchiatoio.
Parla con un leggero accento francese.

ANNE MARIE: (finendo di pregare) Bon Dieu! Vi ha mandati il duca mio marito? Povero caro, cerca di fare il meglio che può, ma non riesce mai di contentarmi. La ragione per cui son così triste, in verità, non so nemmeno dirla. Mi annoio, non faccio altro che scriver lettere alla volta di qualcuno senza nessuno che possa davvero apprezzarle, con cui possa leggerle e commentarle. 
Se fossi stata nel mio salotto, l’avrei fatto, nel mio angolo parigino a Roma dove tutti bramano d’esser accolti, ma che, allo stesso momento, i bigotti italiani, criticano denigrano.

Eppure io non sono nemmeno delle più disinvolte, ma sono solita dire che tutto passa per galanteria, quando è fatto con garbo.
Sapete, ho tanta pena delle povere donne di queste città: mortificate in ogni aspetto, loro cura costante sono solo i figli, la casa e la chiesa. Non sanno bien vivre, les pauvres, son recluse! Vi sto dicendo che nessuno qui si incontra per le vigne e che ci sono alcune donne che in tutto un anno non usciranno che sei volte per andare a messa. Non possono muoversi da sole, non possono ricevere come faccio io.
Nei miei appartamenti è sfilata tutta la nobiltà italiana e quella francese di passaggio, qui regna il bello spirito e la galanteria, i miei habitués vengono costantemente e durevolmente stupiti. Le nostre conversazioni crescono a vista d’occhio tanto che molti vengono a far da spettatori perché non c’è nemmeno più lo spazio per uno spillo... essendo tutto occupato dagli amanti di cui mia sorella si dichiara padrona (ride)! Invece le mie grazie non sono che per i musici e i poeti! E dunque danziamo, cantiamo, ci trastulliamo col gioco dell’ombra e mai ci dimentichiamo du notre roi!
Invece, qui dentro è tutto scuro, i passi riecheggiano e le voci rimbombano.
Mi manca mia sorella, la sua gaiezza mi avrebbe di certo rallegrato. Noi di famiglia odiamo la gente malinconica e non possiamo soffrire le sembianze tristi. In questo momento andrei in uggia anche a lei, alla mia adorata Louise-Angélique!
Nostro fratello anche, a dir la verità, un po’ ci biasima, dice che viviamo senza freni e ci occupiamo troppo poco della nostra buona reputazione, ma la Fama viaggia veloce e acquista forze andando,
È vero, ho rianimato un po’ piazza Navona ma con brio composto, con una disinvoltura manierosa, una prontezza corretta e un costume ben regolato. E, soprattutto, con la mia disinvoltura, mai ho mancato di rispetto a questo mio marito così cortese che sempre riverirò e onorerò, poiché anche nel mio salotto tutti mi chiamano Caliste, la ninfa dei boschi trasformata in un’orsa, perché sempre Orsini sarò e sempre Callisto, la donna degli Orsi mi chiamerò.

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