Il fascino discreto del medieovo


È senza dubbio merito del territorio in cui viviamo e operiamo se, da sempre, il medioevo ha esercitato un fascino intenso su di noi singoli, ma, soprattutto, sulla compagnia intera.


La maggior parte dei paesi sabini si sviluppa proprio nel medieovo e in questo periodo ha prosperato. Perché, checché se ne dica, il medioevo non era solo brutto, puzzolente e con la peste: fu anche un periodo di rinascita e riscoperta. Basti pensare all’importanza capitale, al potere che l’Abbazia di Farfa aveva in quel periodo. Infatti, leggendo “Il nome della rosa”, il cuore di noi sabini fa un balzello di orgoglio e sorpresa appena vien nominato l’Abate di Farfa. Non a caso, l’appuntamento del Circolo Pickwick, in occasione di un’edizione di Liberi sulla Carta, in cui si discuteva del romanzo di Eco proprio all’interno dell’Abbazia fu un successone.




Le rievocazioni storiche, è ovvio, per molti anni hanno fatto furore per questi lidi, molte ancora resistono, ed è proprio da qui che noi abbiamo iniziato. Eravamo bambinetti, correvamo e recitavamo per strada, cantavamo, saltavamo, proprio come quella “nidiata di bambini, di falchetti che urlano a squarciagola e vengono applauditi con tirannica foga” di cui si lamentava tanto Rosencrantz.

“La Gogna del Giullare” ce lo siamo portati dietro per dieci anni, rivisitato e corretto per ogni occasione. Poi siamo cresciuti, la Compagnia dell’Inserenata ha cominciato un nuovo percorso, ma il Medioevo non ci ha mai abbandonato, ed ecco comparire “Foco a Fara”, spettacolo in versi che, nella storia quotidiana di un capitano e una fanciulla, lascia intravedere i grandi moti della storia accadutaci sotto casa, con i Saraceni che arrivano a incendiare fare, castri e monasteri.


E, con questo, torniamo a Farfa e al suo declino, raccontato in una visita guidata teatrale, “Fuoco e inchiostro”, dove si raccontavano proprio le vicende relative all’attacco dell’Abbazia da parte dei Saraceni.

Recentemente abbiamo intrapreso un vero e proprio lavoro di recupero. Per la “Historia di Marion e Robin”, infatti, abbiamo scelto di portare in scena quello che è considerato il primo esempio compiuto di teatro profano. Si tratta di roba francese, si sa, in questo i francesi stavano avanti. Quando noi ancora ci sentivamo a disagio e inserivamo timide frasette in volgare all’interno di famose testimonianze giurate redatte in latino, i nostri cugini d’oltralpe già recitavano “La Chanson de Roland”.







È l’opera più famosa di Adam de la Halle, compositore, scrittore e poeta. Si tratta di uno scritto molto semplice, banalissimo nella sua trama, ma di grande valore storico e culturale, anche perché, la Compagnia dell’Inserenata ha recuperato le musiche originali inserendole nello spettacolo così come furono pensate in origine.



Anche quest’anno con “La gelosia di Messer Arriguccio” si è fatta una simile operazione, con la differenza di aver avuto un antecedente illustre. Ebbene, perfino Molière, subì il fascino della farsa medievale e ne riscrisse alcune tra quelle più celebri del medioevo francese. Noi ci siamo avvalsi di queste splendide riscritture per portare in scena la farsa della gelosia e del marito beffato: un tema ricorrente che, a quanto pare, non passa mai di moda.

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